ASCI al 1950 al 1973

Ricostruzione e ripresa

Tra quelli che erano troppo piccoli prima della guerra per andare in uscita ma che avevano
visto gli scout con gli occhi da lupetto oppure ne avevano sentito raccontare i giochi e le
avventure c’erano coloro i quali, adesso sui 25/30 anni, si trovano la responsabilità di avviare e
guidare il mondo scout nell’Italia della ricostruzione e della rinascita.
Si avevano davanti due rischi, entrambi potenzialmente fatali: riprendere da dove si era
lasciato, applicando con fedeltà metodo e sistema di gestione vissuto venti anni prima, oppure
partire ex-novo, in una realtà sociale e culturale del tutto cambiata rispetto agli anni ’20 (anche
per il fatto che i contatti con il mondo “esterno” erano stati, per forza di cose, ridotti e circoscritti
ad un ristretto numero di persone così come la conoscenza delle esperienze e l’elaborazione
educativa vissuta dallo scautismo nelle nazioni libere).


Consegnano il testimone con fiducia nei giovani
Fu un dono di grazia che la gran parte dei “vecchi capi” che erano stati nei reparti scout prima
della guerra, insieme alla estrema generosità di impegno nel riattivare iniziative, contatti tra
persone e gruppi e dare davvero l’anima perché l’Asci rinascesse, ebbe l’intelligenza di capire
che era fondamentale custodire i valori fondanti (il senso dell’impegno, i valori della Legge e
della Promessa, il servizio al prossimo come stile di vita) uniti alla capacità di trasmetterli con
una proposta rinnovata e adeguata ai tempi.
La conoscenza e la stima reciproca tra molti, sparsi in tutta Italia, consentì in qualche modo
di far circolare anche ai più lontani le intuizioni e le idee di coloro che erano stati vicini allo
scautismo belga e francese (soprattutto) che, per gran parte, diedero l’impronta al mondo
scout di quegli anni.
L’ultima grande azione fu quella di credere e mettere in pratica la fiducia verso i giovani
capi, consegnando il testimone senza legare loro le mani. Ebbero fiducia che giovani che non
erano stati scout da piccoli, ma che erano diventati adulti attraversando una guerra, avrebbero
saputo riconoscere i valori fondanti ed avrebbero potuto trovare strade nuove, adatte ai loro
passi e ai passi dei ragazzi che ora si avvicinavano all’Asci.
Fu allora che il testimone passò a Samuele Andreucci, a Gigi Menozzi, a Enrico Dalmastri
a Paolone Severi mentre alcuni giovani sacerdoti, vivacissimi ed innamorati dello scautismo,
davano il cambio alla generazione di mons. Faggioli: erano don Giovanni Catti, don Annunzio
Gandolfi poi ancora, in giro per la regione, fra’ Agostino Bertoni, don Nino Levratti, don Lino
Mancini, don Tonino Moroni ed altri ancora…
Si aprivano reparti dove erano già stati negli anni ’20, ma anche in tante nuove località;
insieme agli esploratori e ai lupetti (con una metodologia arricchita sulla scia delle associazioni
francesi e belghe), si delinea una proposta educativa originale italiana anche per la branca
Rover, età per la quale la prima Asci aveva espresso davvero poco. In questo particolare
contesto i capi della Emilia-Romagna si inseriscono attivamente e agiscono con utili soluzioni
di mediazione in mezzo alle più decise, e reciprocamente distanti, iniziative dei capi lombardi
e romani.
In regione lo scautismo si diffonde e si consolida: nel 1955 si unificano le due precedenti
realtà (Emilia e Romagna) che si erano costituite nel 1945 raccogliendo la prima Modena,
Reggio, Parma, Piacenza mentre Ferrara con tutta la Romagna era insieme a Bologna. Una
distinzione che, in realtà, non era stata di ostacolo alla costituzione di legami tra le persone, la
circolazione di idee tra i capi e lo scambio di sollecitazioni e il sostegno, quando necessario.
Quando i cellulari non erano neppure nella mente di Dio ed i telefoni erano merce rara nelle
case, senza l’ombra di autostrade e con il treno o l’autobus come solo mezzo per spostamenti
di massa… furono fatti miracoli da qualche decina di “sognatori di futuro” che costruirono una
trama di relazioni e di amicizie di cui ancora noi tutti siamo eredi.


“Sognatori di futuro”, oltre il ’68
Quando arriva la burrasca del ’68 tra i capi della regione c’è già, anche se non diffusissima,
una sensibilità educata da alcune delle menti più fini del pre-Concilio e del Concilio (eventi ai
quali anche il nostro mondo scout non è lontano). Si avvertono lieviti di attenzione e interessi
non episodici per la questione dei diritti, dell’assunzione di responsabilità autonoma dei
giovani, per l’impegno politico…
Nonostante ciò anche lo scautismo dell’Emilia-Romagna vive per qualche anno tra forti
scossoni e incertezze. Attraversiamo questo tempo, tuttavia, anche con le caratteristiche
della nostra gente: siamo particolarmente appassionati, calorosi ma anche testardi, litigiosi e
talvolta abbiamo la memoria dell’elefante per qualche fatto che non ci va a genio…
Alla fine, però, non sappiamo stare isolati, arroccati e “avere il muso con il mondo”: ci piace
troppo vivere la vita insieme agli altri. Litighiamo, ed anche forte, per due/tre anni. Si creano
forti conflitti e ci si oppone con foga in assemblee che mai più saranno così infuocate.
Però, per fortuna, da una e l’altra parte non manca la presenza di qualcuno che ha lo
sguardo al dopo, al domani. E reciprocamente, anche nelle liti più furibonde, non viene meno
una credibilità personale che consente di preservare fiducia reciproca e sostanziale rispetto
del valore delle posizioni opposte.
Lentamente si superano gli attriti più forti, reciprocamente ci si rinnova fiducia e si riprende
il cammino. È arrivato il momento dell’Agesci.

(testo da Impronte 1917-2021 Scout e guide tra il Po e l’Adriatico di V. Politi & P. Zoffoli – Editore Stilgraf)

FOTOGRAFIE ASCI 1950-1973